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TORINO – 28.10.2017 – Il mito del posto sicuro

non c’è più e il bancario s’è fatto sempre più precario. Fusioni piccole e grandi, crisi, innovazione e digitalizzazione hanno rivoluzionato il mondo bancario italiano e, ancor più, quello piemontese. Nella terra da cui sono spariti nomi e marchi storici come Cassa di risparmio di Torino (entrata in Unicredit), San Paolo (fusa con Intesa), Banca popolare di Novara (aggregata prima a Verona e poi alla popolare di Milano) ma anche Banca popolare di Intra (annegata nel crollo di Veneto Banca) la fotografia dello stato di salute dell’occupazione creditizia la forniscono i numeri. Quelli illustrati in settimana a un convegno di Torino dal segretario aggiunto nazionale del sindacato Fabi sono impietosi. In dieci anni i posti di lavoro persi nel settore sono stati più di 9.000, il 23,7% del totale contro una media nazionale di -13,5%. Dai 39.243 del 2008 s’è passati nel 2016 a 30.017, al netto delle “diete” imminenti di Intesa Sanpaolo ma anche di altre banche che stanno ristrutturandosi. Meno sportelli, meno attività di front-office, ma più tecnologia, con l’aumento di quasi 10% degli sportelli bancomat e il raggiungimento del 74% di bonifici inseriti on-line. 

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