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BELLINZONA – 23.08.2017 – Per la Svizzera è una svolta

epocale, un segnale di una condizione economico-sociale non idilliaca ma anche la volontà di compiere un passo avanti nel welfare. Dopo che il cantone Neuchatel ha vinto nei mesi scorsi un lungo braccio di ferro giudiziario per poter introdurre il salario minimo, anche il Ticino ci crede. Alcuni sindacati e forze politiche stanno rilanciando in questi giorni la proposta di legge cantonale che garantirà a ciascun lavoratore uno stipendio sotto il quale è impossibile scendere. Uno stipendio che si stima debba essere di 21 franchi all’ora (18,47 euro) che, proiettati su un mese, portano la busta paga a circa 3.600 franchi (3.100 euro).

Può sembrare paradossale che in uno dei paesi più ricchi del mondo, il cui reddito pro capite è di gran lunga superiore agli altri, si debbano attuare misure simili. In realtà l’andamento dell’economia svizzera paragonata a quella mondiale e unita all’elevato costo della vita nella Confederazione, ha eroso nel tempo il potere di acquisto del lavoratore indigeno medio, che per giunta lamenta – questa la teoria dei sindacati – la concorrenza dei lavoratori frontalieri a più basso costo. Il salario minimo, in questo senso, è percepito come la soluzione al problema. 

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