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koraichi wafa

MILANO – 11.02.2017 – A casa mancava

dall’aprile dell’anno scorso, dalla mattina in cui scattò il blitz che la portò in arresto con la pesante accusa di terrorismo. Wafa Koraichi, la donna di 24 anni inserviente in un ristorante di Baveno, da giovedì è tornata nella sua abitazione sul Lago Maggiore, insieme al marito – pizzaiolo in un locale del basso Verbano – ma senza il figlio piccolo di tre anni che, in questi mesi di clamore, è rimasto in Marocco dai nonni. Dopo l’arresto Wafa fu portata nel carcere di San Vittore a Milano e poi trasferita in quello di Rebibbia, a Roma, dal quale ha partecipato martedì scorso in teleconferenza all’udienza di fronte al gup nella quale i suoi legali hanno chiesto il processo con rito abbreviato e, al termine della seduta, chiesto nuovamente i domiciliari, poi ottenuti.

La sentenza di primo grado è attesa per martedì prossimo. I pm Enrico Pavone e Francesco Cajani hanno chiesto che sia condannata a 3 anni, 6 mesi e 20 giorni come fiancheggiatrice dell’Isis, tramite tra il fratello foreign fighter in Siria e gli altri tre imputati nel processo: il kickboxer marocchino residente a Lecco Abderrahim Moutaharrik, sua moglie Salma Bencharki e Abderrahmane Khachia, un connazionale residente nel Varesotto. Secondo l’accusa Moutaharrik e Khachia progettavano attentati in Italia e ambivano a diventare a loro volta foreign fighter. La giovane di Baveno avrebbe interceduto per il pugile con il fratello ricevendo, tramite whatsapp, la benedizione a unirsi all’esercito dell’Isis. 

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