MILANO – 03.05.2016 – Ha risposto alle domande
del giudice nell’interrogatorio di garanzia, professando la sua estraneità alla jihad. Wafa Koraichi, la ventiquattrenne mamma di origine marocchina arrestata giovedì a Baveno dai Ros dei carabinieri perché sospettata di appartenere a una cellula del terrorismo islamico, si trova ancora in regime di isolamento. È nel carcere di San Vittore, a Milano, non può vedere altri che l’avvocato. E proprio la sua legale che l’ha accompagnata di fronte al gip Manuela Cannavale e al pubblico ministero Francesco Cajani che fornisce la versione della giovane. Nelle intercettazioni telefoniche tra lei e la moglie di Abderrahim Moutaharrik, il pugile di Lecco che voleva arruolarsi nell’esercito del Califfato, la donna chiede a Wafa la “tazkia”, il permesso che i vertici dell’isis devono concedere ai foreign fighter. Permesso che sarebbe dovuto arrivare dal fratello di Wafa, Mohammed, che da un anno e mezzo s’è trasferito con la famiglia in Medio Oriente per combattere e con il quale la donna era ancora in contatto. Laura Pedretti, avvocato dell’indagata, spiega che la richiesta della “tazkia” è un equivoco e che la sua assistita non conosce il significato e il valore di quella parola. In queste ore l’avvocato sta valutando di chiedere al tribunale del Riesame la revisione delle misure cautelari, in primis dell’isolamento. Wafa ha consegnato il passaporto, ha a casa un marito e un bimbo piccolo e ritiene che il pericolo di fuga lamentato dagli inquirenti non è reale.