STRESA - 23-08-2024 -- Penultimo appuntamento, stasera alle 21,15 al Regina Palace hotel, con i finalisti del premio Stresa di narrativa. Ospite della Perla del Lago Maggiore c’è Federica Manzon, autrice di Alma, romanzo che racconta la storia politica e sociale dei balcani dalla nascita della Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale sino alle laceranti guerre civili degli anni ‘90, di cui presentiamo una recensione.
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La storia è attraversata da conflitti di identità etnica che si scatenano tra chi contrappone la difesa delle proprie origini native, alle ragioni del potere politico geografico di una determinata Nazione.
La guerra scoppiata nei Balcani, dopo la morte del maresciallo Josip Broz Tito è iniziata ben prima del disfacimento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Dopo la seconda guerra mondiale, le diverse realtà storico culturali religiose jugoslave vengono tenute insieme sotto il regime militare di un’ unica grande repubblica comandata da “occhio di vipera”. Il progetto della Grande Serbia, che affonda le sue radici nel 1937, avanza imponendo l’ideologia unificatrice dei popoli, fino a giungere allo scoppio della guerra dei Balcani.
Questo conflitto è un vero e proprio genocidio per la spartizione e la frantumazione della ex Jugoslavia, che cancella definitivamente il ricordo dell’Impero austro ungarico.
Alma, la protagonista del romanzo di Federica Manzon, è una bambina quando osserva il padre andare e venire dalla casa sul Carso per spostarsi all’isola di Brioni, come un titino al seguito del dittatore; lei è piccola per capire il lavoro del padre e per il padre è troppo complicato spiegare alla figlia la sua appartenenza ideologica politica, suggellata dal suo passaporto rosso.
Nella sua giovinezza ci sono insidiose differenze, che si manifestano tra chi sta con chi, anche solo nello scegliere una bevanda come Brinjevec, l’acquavite delle regioni slovene del Carso oppure Slivovitz, l’acquavite dei Balcani.
Nelle lunghe attese dei ritorni di suo padre, Alma vive insieme alla madre che lavora alla Casa dei Matti e frequenta i suoi nonni materni, di nascosto dai suoi genitori.
Quando arriva Vili, Guglielmo Knežević, un bambino di Belgrado strappato alla sua famiglia per proteggerlo dalla guerra sui Balcani, i ritorni del padre di Alma dall’isola si intensificano.
Alma e Vili crescono insieme, si contrappongono, si sfuggono, si amano, si odiano per tutta la loro vita e la storia del romanzo sembra muovere i loro destini su di una scacchiera in cui chi fa la prima mossa preannuncia lo scacco matto all’avversario.
Vili segue la scuola della minoranza slovena e cerca conforto spirituale nella chiesa ortodossa di San Spiridone, Alma cresce libera, con le sue gambe snelle, tra due visioni ideologiche della realtà, quella rivoluzionaria dei suoi genitori e quella aristocratica conservatrice dei suoi nonni materni.
Nel magazzino n.18, del porto vecchio ricolmo dei tesori degli esuli scappati dalle truppe titine, trovano i quaderni di Diego De Henriquez e una macchina fotografica che faranno di loro una giornalista di Roma e un fotoreporter di guerra; entrambi si muovono sullo stesso fronte, senza saperlo, senza comprendere cosa vogliono dimostrare l’uno all’altro.
Durante l’assedio a Sarajevo Alma si chiede dov’è Vili che si trova al seguito delle truppe serbe.
Nessun vinto, nessun vincitore nel romanzo di Federica Manzon ma solo jugo nostalgici e due bambini cresciuti troppo in fretta, separati dalla curiosità di capire da soli chi sono i buoni e chi sono i cattivi, convinti sostenitori dei valori di bratstvo i jedinstvo.
Alma ritorna sul Carso, per ritirare l’eredità di suo padre lo “zingaro” e ricorda i suoi trent’anni di quell’ultima volta che aveva alzato gli occhi al cielo, attraversato da F15 e F16 che partivano dalla base Nato per bombardare la capitale dei serbi, prima della caduta della cortina di ferro.
Ripercorre il Viale dei Platani, sul lungo mare di Barcola a Trieste, per arrivare alla casa dei nonni, occupata da un’affittuaria amica di sua madre; lei entra e come una proustiana riconosce un servizio da caffè, assapora la nostalgia del tempo passato dove i ricordi riaffiorano riportando alla memoria i libri degli scrittori russi, i comodini Biedermeier e le parole in tedesco con cui parlava a loro.
Dopo la messa della Pasqua ortodossa, secondo il calendario giuliano, Vili consegna ad Alma la scatola di legno di pino con all’interno l’ eredità lasciata dal padre e trova conservato tra gli oggetti anche quell’indissolubile legame famigliare che le pareva perduto.
Monica Pontet
docente, scrittrice pubblicista