VERBANIA - 12-06-2024 -- L’imputato (e condannato) non era a conoscenza del processo, che probabilmente sarà da rifare. È stata la Corte di Cassazione a riaprire un “caso” giudiziario verificatosi a Verbania quattro anni fa. A fine 2020 il Tribunale monocratico condannò per una serie di furti e tentati furti aggravati un allora trentenne albanese sospettato di aver agito in concorso con due connazionali.
La sua casa era stata perquisita dai carabinieri il 5 febbraio del 2017. I militari trovarono 430.000 dollari americani ritenuti provento di un furto accaduto nel territorio del Vco, sequestrarono il denaro e, una volta condotto in caserma, gli notificarono un avviso di garanzia, invitandolo a nominare un difensore.
Nelle settimane successive gli inquirenti gli ricondussero altri 18 episodi simili che, accorpati in un unico procedimento, lo portarono a giudizio. In quel momento, tuttavia, il trentenne non era più in Italia. Il giorno successivo alla perquisizione, infatti, aveva preso l’auto e lasciato la Penisola passando dalla Slovenia.
Per il difensore d’ufficio che l’aveva assistito nel processo di primo grado e che, non avendolo mai visto, né contattato, aveva avuto pochi margini di manovra in aula, l’accusa non poteva essere portata avanti perché l’imputato non era mai stato a conoscenza del procedimento a suo carico, poiché l’unica informazione che aveva ricevuto in merito, prima che se ne andasse in Slovenia, era un semplice avviso di garanzia.
Questa tesi è stata ignorata dal Tribunale di Verbania, che l’ha condannato. La sentenza è diventata definitiva e solo in tempi recenti l’albanese, nel frattempo venuto a conoscenza della decisione a suo sfavore, ha avviato un procedimento per la rescissione del giudicato di fronte alla Corte d’Appello di Torino, che ha respinto l’istanza.
Contro quell’ordinanza è stato presentato ricorso in Cassazione e, a Roma, gli Ermellini l’hanno accolto, riconoscendone le ragioni e mandando il fascicolo di nuovo a Torino, affinché sia rivisto.