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tribunale 16

VERBANIA - 27-03-2024 -- Era giovane, neodiplomata e iscritta all’università. Quel ruolo, per il quale non aveva esperienza, le dava uno stipendio e l’allettava. E, poi, garantiva il papà, che conosceva gli imprenditori e lavorava per loro. Sono queste le premesse per le quali, nel 2020, una ragazza di allora 23 anni accettò di diventare l’amministratrice di una società di costruzioni del basso Verbano. Svolgeva mansioni di tipo impiegatizio, sempre affiancata dalla segretaria e, all’occorrenza, faceva anche le pulizie in ufficio. Un giorno il lavoro fu “disturbato” dalla richiesta, consegnata a lei per via del ruolo, del saldo di una fattura da 97.000 euro reclamata da una società che aveva fornito un’attrezzatura a noleggio. Soldi non dovuti, gli dissero i soci, riconducibili a debiti di un’altra società che questi avevano avuto in precedenza. “Mi spiegarono che c’era stato un errore – ha detto al giudice, come spontanee dichiarazioni nel processo per cui è a giudizio per calunnia – e, alla presenza dell’avvocato, mi fu detto che il contratto era falso. Per questo mi recai dai carabinieri a denunciarli”.

Una querela che non colpì nel segno e che, anzi, portò chi l’aveva depositata a diventare indagata e poi imputata del reato di chi denuncia all’autorità giudiziaria qualcuno sapendolo innocente. È sull’elemento soggettivo della calunnia, sulla consapevolezza che l’impresa creditrice fosse estranea al fatto, che si basa la difesa della giovane, oggi 27enne, che è finalmente venuta a parlare in tribunale, dopo che alla penultima udienza il suo avvocato l’aveva descritta come una persona spaventata di parlare.

 


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