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VERBANIA – 22.02.2016 – Un accordo quasi perfezionato,

le insistenze della banca, i dubbi dei soci e il mancato appoggio dell’istituto di credito. Il crac del gruppo edilizio verbanese facente capo all’architetto Osvaldo Palese è approdato oggi in tribunale a Verbania. Nell’aula A, di fronte al giudice Rosa Maria Fornelli, si sta celebrando un processo per mancati versamenti Iva. Nel corso del dibattimento, chiamato a chiarire le circostanze di cui al capo di imputazione, il dottor Gianluca Strada, rinomato commercialista ligure, esperto di diritto fallimentare e già presidente del suo ordine professionale a Genova, ha ricostruito le convulse fasi che tra il 2012 e il 2013 fecero precipitare la crisi che attanagliava le numerose società della galassia Palese provocandone, nel periodo successivo, il fallimento. Strada, insieme al collega genovese Aldo De Giorgi, fu chiamato come commissario liquidatore delle società in sostituzione di altri due professionisti. Fu contatto nella prima parte del 2012, ma prese tempo nell’accettare l’incarico perché attendeva che si definisse una pratica di finanziamento con la Cassa di risparmio di Genova, primo creditore bancario del gruppo. Imbastito l’accordo per il prestito-ponte di 5 milioni di euro, da pagare in tre tranche e al verificarsi di determinate condizioni, Strada e De Giorgi (entrambi graditi a Carige) si misero al lavoro dal 21 settembre 2012 per: contattare i creditori e chiudere accordi di stralcio, concordare con l’Agenzia delle entrate tempi e modalità di pagamento delle imposte arretrate, accertare debiti e crediti e definire un piano di ristrutturazione del debito che salvasse il gruppo. Tra ottobre e novembre si tennero più incontri con i vertici di Carige, anche alla presenza del presidente Giovanni Berneschi. Carige era fortemente esposta verso il gruppo Palese – ha chiarito Strada – perché deteneva circa l’80% dei debiti bancari e il suo via libera era indispensabile. I liquidatori tennero stretti contatti con l’ufficio “credito anomalo”. Il 4 novembre si discusse, tramite e-mail, la possibilità di un incontro con tutte le banche per chiudere la pratica con Carige per le restanti tranche del prestito-ponte. Nel frattempo i liquidatori si mossero per presentare un concordato prenotativo in bianco propedeutico a un piano di ristrutturazione del debito. Tutto procedeva e il 19 dicembre ci fu un nuovo vertice con Carige, dal quale uscì la richiesta – tra le altre – di aumentare le garanzie a copertura del prestito da parte della famiglia Palese. L’architetto era incline a accettare, la moglie no. E mentre se ne discuteva, all’improvviso Carige si chiamò indietro, interrompendo i rapporti. Strada e De Giorgi (che per i mesi di incarico non ha percepito un euro, insinuandosi al passivo fallimentare) presentarono le dimissioni ritenendo sfumata la possibilità di un piano di ristrutturazione. Palese li invitò a temporeggiare perché sarebbe intervenuto direttamente lui con la banca, ma non ci furono sviluppi. Quello fu l’inizio della fine del gruppo Palese che, a detto di Strada, aveva sì un mare di debiti (e non solo con le banche, ma anche con fornitori, artigiani e aziende varie), ma anche un patrimonio di circa 130 milioni di immobili.

Il residence di Bracchio

Tra i cantieri non conclusi delle varie società del gruppo Palese c’è il buco nero di Bracchio, un residence in gran parte costruito, mai finito, non pagato e poi finito in disuso e depredato da ignoti. C’era una problema serio – ha spiegato Strada – per venderlo era necessaria una variante al Piano regolatore che li desse una destinazione, almeno parziale, residenziale. Avemmo alcuni colloqui con il sindaco e l’Amministrazione, ma non si andò avanti.

Lo “scheletro” di Genova

Un altro cantiere “discusso” del gruppo Palese è a Genova. Nel quartiere Doria, in accordo col Comune dovevano essere costruite 4 palazzine di case popolari di edilizia convenzionata. Ne sono sorte 3, pagate – così ha riferito il liquidatore – all’80% dagli acquirenti, senza che si potessero finire i lavori. Non c’era neanche l’allaccio alla rete del gas e il riscaldamento. La quarta? Ha solo le colonne di cemento armato, tanto che a Genova – così il liquidatore – la chiamano lo “scheletro”.

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