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VERBANIA - 06-03-2024 -- Il giudice s’è presa tempo per decidere, per leggere le memorie depositate e per soppesare le prove e le testimonianze di una vicenda quantomeno “particolare”. La protagonista è una farmacista titolare di un’attività del Verbano, a processo al Tribunale di Verbania per lesioni personali aggravate, per aver provocato -secondo l’accusa- con una sostanza venefica o corrosiva un’ustione alla schiena di un automobilista e per aver intossicato la figlia che era nell’abitacolo con lui.

La ricostruzione di carabinieri e pm attribuisce alla dottoressa, con il movente del fastidio arrecato dalla sosta sugli stalli riservati ai clienti della farmacia, lo sversamento di una sostanza chimica nociva sul sedile della vettura parcheggiata che, una volta a contattato con la schiena del conducente, gli ha provocato un’ustione di primo grado giudicata guaribile in cinque giorni. Il fatto risale al 24 agosto del 2020 e le prove a sostegno dell’accusa sarebbero i video -che la farmacista avrebbe cercato di non fornire- che la inquadrano vicino all’automobile con un contenitore in mano.

Per la difesa è una congettura che non si basa su un movente (le parti non si conoscevano) e che non ha prove certe, dal momento che c’è una ricostruzione alternativa -la consegna, ad altra cliente mai identificata, di un barattolo che questa aveva portato la mattina per avere medicine specifiche- non smentita dalle indagini; e che orari e modalità del versamento del presunto veleno, peraltro mai identificato dai Ris e che ha prodotto solo arrossamenti – ha detto l’avvocato dell’imputata – non corrispondono.

La parte civile, dal canto suo, chiede un cospicuo risarcimento: 20.000 euro di cui 15.000 provvisionali, sostenuta dalla richiesta del pm Anna Maria Rossi di condannare la farmacista a sei mesi. Il giudice Beatrice Alesci, ascoltate le richieste delle parti, ha aggiornato per repliche e sentenza a giugno.

 


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