VERBANIA - 15-02-2024 -- Un lungo applauso, lacrime e commozione hanno accompagnato il feretro di Elisabetta Massa nel suo ultimo viaggio terreno. Gremita e mesta, la collegiata di San Leonardo a Pallanza ha ricordato con affetto il magistrato che un brutto male s’è portata via a 69 anni. Romana di nascita ma verbanese d’adozione, ha saputo farsi ben volere e apprezzare, sia sul lavoro, sia nella vita di tutti i giorni.
Don Luigi Donati, il sacerdote responsabile dell’oratorio don Bosco, ne ha sottolineato la salda fede, dimostrata nel più buio momento della malattia, ma anche l’impegno per i lavori di ristrutturazione e di miglioria dell’oratorio, per i quali molto s’è impegnata e che avrebbe voluto veder conclusi, invitando a proseguire e perseverare.
Prima magistrato donna del Tribunale di Verbania, arrivò da Roma fresca di concorso nel 1982, insieme a Massimo Terzi -suo compagno d’università-, che ne ha tratteggiato, non solo le grandi doti professionali “bravissima, studiosissima, visceralmente appassionata di diritto, una lavoratrice instancabile apprezzata da tutti coloro che sanno riconoscere una persona speciale, superiore agli altri”, ma anche le qualità umane. “Gentile è l’aggettivo che meglio la descrive. Gentile e accogliente” – ha detto indugiando sui ricordi personali. Carico di commozione il racconto di Simonetta Matone, magistrato come lei, amica e confidente fin dalla laurea, alla quale era legatissima. “Eravamo l’opposto l’una dell’altra, eppure siamo rimaste amiche per sempre” – ha detto mettendo in evidenza le doti umane e il grande amore per il figlio Emanuele. “Avrebbe, lei che era profondamente romana, potuto tornare a casa e portarlo con sé, ma anche in questo è stata una mamma e una donna straordinaria”.
Significativo anche l’intervento di Alberto Zanetta che, a nome degli avvocati del foro di Verbania, ha messo in evidenza come sapesse, sapesse fare, ma soprattutto sapesse essere, “una dote che hanno davvero pochi”. L’affetto per il magistrato è stato testimoniato dalla grande partecipazione, non solo tra chi ha lavorato nella giustizia (magistrati, avvocati, personale), ma anche tra chi ha incrociato la sua strada all’oratorio, in parrocchia, al soroptimist club e, comunque, in tutti gli ambienti che ha frequentato. “Non dobbiamo rammaricarci di averla persa, ma gioire per averla avuta” – ha concluso il giudice Matone.