VERBANIA - 12-01-2024 -- Per l’Agenzia delle entrate le fatture pagate celavano operazioni soggettivamente inesistenti ma per la Commissione tributaria, che ha accolto il ricorso e revocato (in via definitiva) l’accertamento, tutto era in regola. Parte da un controllo del cosiddetto spesometro, effettuato nel 2021 sui redditi dell’anno 2016, il procedimento penale che vede alla sbarra con la contestazione di reati di natura fiscale un’imprenditrice cinese.
Titolare di due negozi, uno a Como e l’altro a Verbania, commercia in capi d’abbigliamento a basso costo e s’approvvigiona da diverse società di connazionali. Nove di esse, secondo la contestazione dell’Agenzia delle entrate, non avevano i requisiti per operare. Prive di sede e magazzini, senza dipendenti, sprovviste di camion e mezzi di trasporto, non si sarebbero configurate come vere e proprie società commerciali, ragion per cui all’impresa quelle circa 25 fatture esaminate vennero contestate. Nel successivo confronto con titolare e commercialista, fu riconosciuto che la merce era stata effettivamente acquistata -come provato dai bonifici bancari, operazioni tutte tracciabili e tracciate- e poi messa in commercio e, dedotti i costi dal reddito d’impresa, restò solo l’evasione dell’Iva.
Contro quell’accertamento l’imprenditrice cinese ha ricorso in Commissione tributaria e, a marzo del 2023, ha avuto ragione. I giudici fiscali hanno riconosciuto la regolarità delle fatture, togliendo le sanzioni. È però rimasto in piedi il procedimento penale, che oggi ha concluso la sua istruttoria con le testimonianze del funzionario dell’Agenzia delle entrate e che il giudice ha rinviato per la discussione.