VERBANIA - 11-01-2024 -- Dodici anni fa fu raggiunto da un avviso di garanzia, coinvolto in una vasta inchiesta della polizia postale che lo accusava di detenzione di materiale pedopornografico. Gli inquirenti gli sequestrarono pc e supporti informatici, rinvenendo negli hard disk foto e video di natura sessuale con protagonisti minori. Da allora, e per lungo tempo, non ha più saputo nulla fin quando, dieci anni esatti più tardi, probabilmente riesumato da un cassetto della Procura di Torino -dove era stata svolta l’indagine- il fascicolo è tornato “in vita”. L’indagato, un uomo residente in provincia che oggi ha 56 anni, ha ricevuto l’avviso di chiusura indagini. Difeso dall’avvocato Gabriele Pipicelli, ha presentato una memoria in cui ha sottolineato come, trascorso un ampio lasso di tempo, il reato sia da considerarsi prescritto.
Eppure la Procura non ha riconosciuto la prescrizione e l’ha mandato a giudizio, anche se il tempo trascorso dai fatti contestati è, nel frattempo, salito a dodici anni. La questione, arrivata nell’aula del giudice Beatrice Alesci, è da dirimere sul piano del diritto, stabilendo cioè se per quel tipo di reato non intervenga un allungamento della prescrizione ordinaria -come sostiene chi ha disposto il rinvio giudizio-, oppure se possa considerarsi ormai “superato”. Per la prescrizione s’è espresso anche il pm Fabrizio Argentieri. La difesa, che s’è associata, è comunque già pronta per chiedere la messa alla prova: i lavori socialmente utili per estinguere il reato. Che, nel caso dovesse sostenere, arriveranno a più di una decade dalla prima contestazione, un periodo irragionevolmente lungo per un processo, secondo quel principio che tutte le riforme rincorrono: avere giustizia in tempi certi e non restare per anni con una spada di Damocle sulla testa.