STRESA - 03-08-2023 -- È “Uvaspina” di Monica Acito (edizione Bompiani) il terzo romanzo della cinquina di finalisti del Premio Stresa di narrativa che viene presentato ufficialmente al pubblico. L’evento è in programma questa sera alle 21,15 al Regina Palace. Di seguito proponiamo una recensione.
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Il romanzo “Uvaspina” di Monica Acito è una via crucis sentimentale che percorre tutte le strade della costa e dei quartieri nobiliari di Napoli, sosta nei santuari e nei palazzi storici, attraversa i giardini, i vicoli e i rioni di una città pulsante di vita e morte, fluisce in ogni suo anfratto, in ogni borgata e casupola abbandonata. L’autrice intinge la penna nella carne pulsante da cui sgorga il sangue vigoroso del giovane protagonista, per affondare l’inchiostro sulla pelle incancrenita della madre dello stesso, uccisa dal fetore delle viscere di rituali che riemergono dalle tenebre della superstizione, radicate nella memoria collettiva dei suoi abitanti.
Ogni personaggio ha una doppia vita, una doppia identità, una vita nascosta che torna a galla dal fondo del mare o da una iattura preparata con tutti i crismi da Nunzia Culo Stuorto.
L’autrice utilizza i soprannomi, i diminutivi, i superlativi per mettere in risalto i tratti distintivi delle persone e dei luoghi che racconta, si affida al gergo dei rioni malfamati della città partenopea per ambientare la storia di Uvaspina, nel pantano ipocrita di un’aristocrazia dell’apparenza.
Graziella, la Spaiata dal sangue forcellaro, come una chiagnazzara napoletana, passa la giornata del mercoledì a svenire, a lamentarsi, fumando sigarette di contrabbando, per affogare il dispiacere di un marito femminaro, di un figlio femminiello e di una figlia malefica.
Ascolta Radio Maria per prepararsi a morire in grazia di Dio, con la scollatura aperta come il Belvedere della Floridiana, anche se il tempo si è portato via quella bellezza sfacciata che ha trasformato il suo respiro delicato in un dirompente eco dell’orchestra di San Carlo o dalla Filarmonica di Parigi. La sera del mercoledì è quella in cui Pasquale Riccio esce per andare a cena con gli amici del Circolo Nautico e spesso si trattiene con la comare del giudice Ponzio e con altre donne di facili costumi, prima di rincasare dalla sua svenevole mugliera.
Le bestemmie della Spaiata, la madre di Uvaspina e Minuccia, puzzano di “naftalina neo borbonica” e le pagine, del romanzo, si riempiono di analogie, paragoni, similitudini e comparazioni, rimarcando quel caratteristico stile comunicativo tipico dei napoletani.
Quando l’intreccio delle vite dei personaggi diventa un groviglio, una fitta matassa di menzogne necessarie per continuare a campare, sia pure miseramente, tutti i personaggi del romanzo cedono in qualche modo al compromesso, alla soluzione inevitabile ma necessaria, per tornare a sentirsi vivi.
Filomena soprannominata Minuccia trascorre la sua giovinezza ad umiliare e mortificare suo fratello Uvaspina, che cerca e trova l’amore tra le braccia di un pescatore che gli salva la vita, in un tentato suicidio. Il fratello superstite di Minuccia è il protagonista di una tragedia napoletana che vede il primo pretendente della sorella, Carlo, morire scaraventato sull’asfalto in un incidente stradale. Antonio il pescatore, per ironia della sorte, diventa il promesso sposo di Filomena e quando Pasquale Riccio annuncia, agli amici del Circolo Nautico, il matrimonio della figlia, non immagina quello che riserva il destino.
Solo dopo la morte della Spaiata, avvenuta il giorno dello sposalizio della figlia, decide di liberarsi dalla iattura di quella creatura ingrata e demoniaca, frutto del suo sangue infetto.
Filomena nasce dopo il funerale della madre di Pasquale Riccio e da quel giorno la maledizione si è infilata come un’onda insidiosa tra le mura della loro casa, nel quartiere di Chiaia sul mare, per infrangersi innanzi al rudere di Palazzo Donn’Anna.
Antonio, il marito di Minuccia, acconsente a rinchiudere la sposa all’ Ospedale psichiatrico, Leonardo Bianchi di Capodichino, per essere curata e accudita, per un tempo indefinito e interrompere, una volta per tutte, le giravolte indemoniate dello “strummolo”. Antonio e Uvaspina vivono il loro amore nell’ombra, in un buio limpido e non sporcato dai tradimenti di quelle unioni consacrate da Padreterno; nell’oscurità sono pronti a salvarsi la vita, l’un l’altro, anche a costo di dirsi addio definitivamente. Ogni disgrazia a Napoli diventa un racconto, per poi trasformarsi in leggenda; solo l’amore puro tra due uomini fa ridere tutta una comunità, che esorcizza la paura del diverso, con l’omertà.
Monica Pontet
docente, scrittrice pubblicista