STRESA - 31-07-2023 -- Si tiene questa sera all’hotel Regina Palace la presentazione del secondo dei cinque libri finalisti del Premio Stresa di narrativa. Di seguito ne proponiamo una recensione.
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Il romanzo “ La vita di chi resta” di Matteo B. Bianchi è una esplicita denuncia di tutte quelle emozioni che stravolgono il protagonista, propenso a tornare da quell’altro luogo in cui si rimane intrappolati dopo un distacco così definitivo, come la morte del proprio compagno che ha deciso di impiccarsi nella casa dove ha vissuto innamorato e felice.
L’attrazione fatale degli opposti sigilla un amore che finisce e affoga le sue lacrime nel rimpianto di non essere stato compreso fino in fondo. Troppo e troppo poco sono gli estremi che intrappolano le relazioni più intime che sopravvivono solo grazie all’alternanza degli eventi che, incalzando, cambiano gli equilibri di ogni coppia che resiste nel tempo. Quando si sopravvive a coloro che si tolgono la vita sono innumerevoli i buoni consigli, non richiesti, che hanno una finalità precisa, ovvero quella di allontanarti dall’idea di farla finita per estinguere il dolore lacerante.
Le statistiche registrano un crescente aumento dei suicidi senza indagare le svariate motivazioni lasciate scritte ai famigliari degli stessi.
Manca del tutto una rete di assistenza psicologica per chi resta e chi si trova vittima inconsapevole di un trauma subito per volontà altrui.
Il suicida lascia le persone più prossime abbandonate nella solitudine ad affrontare i sensi di colpa, di sgomento, di impotenza innanzi ad un atto innaturale che sovverte il principio di lunga vita, accorciando, smisuratamente il tempo biologico dell’esistenza umana.
L’autore del romanzo traccia, una mappa di avvenimenti che si sono susseguiti dopo il suicidio di “S”, in una disperata ricerca di risposte, di motivazioni, delle ragioni del perché di una resa così definitiva da una unione così indissolubile come un amore corrisposto.
Il poeta latino Ovidio ci ricorda che l’amore è solo un genere di conflitto, “Ego nec sine te, nec tecum vivere possum”, che si traduce nell’impossibilità di vivere con e senza la persona amata.
Dopo uno shock traumatico tutto quello che ne consegue è un lungo percorso di interiorizzazione di
quanto accaduto, nella speranza di poter convivere pacatamente con questo dolore impresso nelle molecole cerebrali, subito pronte a risvegliare i pensieri più oscuri, appena si paventa una rimembranza. “C’è un prima e c’è un dopo il dolore”, scrive Matteo B. Bianchi e come lui afferma, noi siamo i nostri ricordi. “Il dolore mi coglie all’improvviso, mi tende agguati”, sono le parole che rappresentano, con nitidezza, quel passare da uno stato d’animo all’altro, per chi ha vissuto un esperienza analoga. Superato il momento del distacco, l’autore cerca il più possibile di perpetuare la presenza di “S” con la conservazione degli indumenti, dei profumi che lasciano percepire ancora la sua essenza come viva intorno a lui.
Ascolta tutti i suggerimenti dei colleghi, degli amici, della ex moglie di “S” per trovare pace in incontri di pranoterapia, psicologia, chiromanzia, sedute terapeutiche individuali e di gruppo per poi approdare ad un nuovo amore inaspettato e duraturo.
Ad un certo punto si diventa un infelice protagonista di un evento raro, di cui si parla o si tace a seconda delle persone con cui si dialoga.
Ci sono infinite risposte ai drammi esistenziali ma non esiste una spiegazione che lenisca lo sgomento causato dallo strappo improvviso dovuto alla perdita di qualcuno a cui si è particolarmente legati.
Le lettere lasciate da “S” possono essere rivelatrici di un mistero della mente umana, un estremo atto di donazione non ancora accolto dall’autore, motivo di accompagnamento alla narrazione di questo libro-terapia primo e unico di questo genere.
Monica Pontet
docente, scrittrice pubblicista