VERBANIA - 18-06-2023 -- Alla fine, tra le oltre mille pagine depositate dalla Procura, di cui poco più di una dozzina riferibili all’imputato e alla sua posizione, nemmeno c’era la relazione tecnica che riconoscesse come cocaina la sostanza “grattata” da 28 foglietti bianchi. È stato lo stesso pubblico ministero a chiedere l’assoluzione per il verbanese coinvolto, nel 2022, in un’inchiesta sullo spaccio di stupefacenti e finito a giudizio con accuse non corroborate da prove.
Il suo nome è emerso nell’ambito di una più vasta operazione antidroga che, come prassi vuole, parte dall’individuazione dei clienti finali per risalire ai pusher e, spesso, si articola in intercettazioni telefoniche o nella lettura dei messaggi estrapolati dai cellulari sequestrati. Così è accaduto anche l’anno scorso, con la scelta della Procura di indagare per spaccio colui che, sì, aveva a che fare con la droga, ma come assuntore. Nella perquisizione domiciliare subita, erano stati trovate 28 cartine bianche che, arrotolate, erano state usate per tirare cocaina. Furono grattate una a una, sino a racimolare 1,30 grammi lordi di polvere bianca, avviata al laboratorio analisi e pacificamente ritenuta cocaina, tanto che -pur in presenza di un’esigua quantità- ha portato a giudizio l’indagato nell’ipotesi che l’avesse ceduta a soggetti terzi.
Gli altri coinvolti nell’indagine hanno definito la propria posizione con riti alternativi. L’imputato, invece, ha voluto andare al dibattimento per dimostrare l’estraneità alle accuse, arrivata dopo tre udienze e alcuni disguidi burocratici e, come detto, su richiesta del medesimo pm che, nel fascicolo, non aveva le prove per chiederne la condanna.