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MONTEBELLUNA – 04.09.2015 – L’opzione stand alone, 

cioè l’indipendenza dell’istituto, è solo un ripiego, il classico piano “B”. La prima scelta è la fusione (più o meno alla pari) possibilmente con un’altra popolare ma non la Vicentina. Sono queste le prime notizie che filtrano da Montebelluna, dove si vivono giorni intensi e dove sono prossime decisioni vitali per il futuro di Veneto Banca, dei suoi soci, correntisti e dipendenti. La strada, che diventa sempre più stretta e obbligata per via dei conti da sistemare e delle pressioni della vigilanza bancaria europea, sarà tracciata dal cda – con l’advisor Rothschild – nelle prossime settimane. Intanto è stata delineata e illustrata per sommi capi ai sindacalisti che a inizio settimana hanno incontrato il presidente Francesco Favotto e il direttore generale Cristiano Carrus.

C’è timore e apprensione tra il personale della banca, già passato dalle forche caudine di un piano industriale che prevede tagli di filiali e dipendenti già a partire dai prossimi mesi. La semestrale negativa per 213,6 milioni di euro non ha certo sollevato lo stato d’animo, così come lo stallo della cessione di Bim imposto dalla Bce.

Porta invece luci e ombre – a seconda del punto di vista dal quale la si guardi – la vicenda della Banca popolare di Vicenza, l’altra grande banca popolare italiana (per di più veneta) non quotata in Borsa, da tempo pretendente dichiarata per le nozze con Montebelluna. Sotto pressione di Bce e Bankitalia, la Vicentina ha dovuto varare una semestrale di lacrime e sangue, con una perdita di un miliardo e la necessità di chiarire le accuse secondo cui l’istituto avrebbe prestato soldi a soci e correntisti in cambio dell’acquisto di azioni, un meccanismo per rafforzare il patrimonio e eludere i richiami europei. Per i detrattori della fusione con la Vicentina, che avrebbe avuto anche pesanti ricadute occupazionali perché in Veneto la rete di sportelli delle due spesso si sovrappone, è una notizia positiva. Meno se si considera che tra le alternative più accreditate c’è la fusione/accorpamento con il Banco popolare di Verona-Novara, che presenta gli stessi identici problemi, ma amplificati perché i doppioni riguardano anche la rete piemontese della ex popolare di Intra, concentrata nel Vco e Novarese.

L’altra più seria pretentende è la Bper, la popolare dell’Emilia Romagna, già popolare di Modena, che rappresenta il sesto gruppo bancario italiano e il terzo tra quelli con il voto capitario.

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