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tribunale verbania due
VERBANIA – 10.07.2015 – Il copione era sempre lo stesso.

Avvicinavano anziane signore ultraottuagenarie, fingevano di essere conoscenti di loro congiunti, con una scusa entravano in casa, con il raggiro si facevano dire dov’erano custoditi i beni più preziosi, che con l’inganno rubavano trovando una scusa e per andarsene.

È iniziato oggi in tribunale a Verbania il processo a Emiliano Diglaudi e Anna Cena, la coppia che l’anno scorso ha imperversato in tutto il Vco colpendo almeno 13 volte in altrettante abitazioni. Tanti sono i raggiri che la sezione investigativa dei carabinieri ha attribuito loro, oltre a un episodio – quello che ne portò all’arresto – per il quale sono già stati condannati.

Episodio che risale al 23 ottobre scorso. In quei giorni l’Arma, allarmata dalla lunga sequela di colpi, aveva predisposto controlli straordinari. Quando giunse la segnalazione di una truffa a Domodossola, scattarono i posti di blocco sull’A26. Un’auto di carabinieri in borghese s’era appostata a Brovello Carpugnino e, a ogni passaggio di auto sospette, controllava nella banca data i proprietari. Venne così fuori che la Fiat Punto di colore nera su cui viaggiavano Diglaudi e Cena era stata segnalata dalla questura di Torino come veicolo utilizzato per un altro raggiro. Le due auto di servizio alla Barriera del Lago Maggiore intimarono l’alt ai due. Che, al contrario, accelerarono spaccando la sbarra del casello e speronando un veicolo dei carabinieri.

Le indagini sulle sim card dei loro telefoni incrociate alle date delle truffe agli anziani nel Vco, confermarono la loro presenza, almeno dall’ottobre 2014, quando le acquistarono. Per gli altri episodi l’identificazione è stata possibile grazie alle foto segnaletiche.

Oggi in aula ha parlato il maresciallo che s’è occupato delle indagini. Ha raccontato il modus operandi: i due avvicinavano le vittime al balcone o alla finestra, spacciandosi per amici dei figli o dei nipoti. Poi chiedevano di entrare per vedere alcuni mobili o pavimenti perché stavano ristrutturando un appartamento. E, preoccupati di dove nascondere i loro gioielli, chiedevano alle vittime se potevano custodirli – rassicurando che i parenti erano già d’accordo – insieme ai loro averi. Scoperto il nascondiglio uno distraeva l’anziana e l’altro prendeva la refurtiva. Poi, all’improvviso, la donna – che spesso diceva d’essere in stato interessante – o fingeva un malore o trovava una scusa per dileguarsi.

Il giudice Raffaella Zappatini ha aggiornato il processo e fissato la prossima udienza a settembre.   

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